Muoiono a Kabul due tedeschi e tre danesi
I comandanti americani dicono di aver ucciso almeno metà dei taleban e dei guerriglieri di Al Qaeda asserragliati nelle montagne sopra Gardez. Ma ieri la notizia più drammatica della guerra in Afghanistan è venuta da Kabul, dove sono morti due soldati tedeschi e tre danesi della forza internazionale di pace. I militari, secondo quanto ha raccontato il capo dell'esercito di Berlino Harald Kujat, stavano distruggendo due missili anti aerei SA-3, sequestrati nei giorni scorsi. Avevano messo le cariche rispettando le misure di sicurezza, ma l'esplosione è avvenuta in anticipo, uccidendo i cinque soldati e ferendone altri nelle vicinanze. Il cancelliere Schroeder ha espresso il suo dispiacere per l'incidente, che ha tolto la vita a «militari impegnati nel loro lavoro di pace, senza collegamenti con il conflitto in corso». Il capo del governo però non ha spiegato se l'episodio avrà un impatto sulla partecipazione alla guerra della Germania, che ha fornito truppe tanto per la forza di pace, quanto per i reparti che stanno ancora combattendo al Qaeda e i taleban. L'operazione Anaconda infatti continua e, secondo il capo del Pentagono Rumsfeld, «il suo esito è ragionevolmente assicurato», anche se la resistenza è forte e non è ancora stata piegata. L'offensiva sulle montagne a Sud di Gardez, secondo i piani originari, doveva durare circa 72 ore, circondando le sacche dove al Qaeda cercava di riorganizzarsi. Ma alla fine della settimana scorsa altri 500 guerriglieri si sono spostati nella regione, preparando la reazione che è costata la vita a otto soldati americani. Uno di loro, il Navy Seal Neil Roberts caduto dal primo elicottero, sarebbe stato giustiziato dai taleban, e un aereo spia della Cia avrebbe ripreso la scena. Ieri comunque il generale Frank Hagenbeck, che segue le manovre dalla base di Bagram, ha detto che «almeno la metà dei nemici sono stati uccisi». I bombardamenti lanciati dopo la ritirata iniziale hanno indebolito la resistenza, e ora le operazioni di terra sono riprese, estendendo la caccia alle caverne della zona. Almeno 300 guerriglieri sono morti, e il comandante di Enduring Freedom, generale Franks, ha rivelato che sta aumentando le forze in campo per chiudere il conto con i superstiti. Al momento, in Afghanistan ci sono 5.300 soldati americani, e 300 sono stati appena aggiunti al contingente schierato a Gardez, portando a 1.200 il totale degli uomini impegnati nell'operazione Anaconda. Anche 12 elicotteri Apache dell'esercito e 5 elicotteri Cobra dei Marines sono stati trasferiti nella zona dei combattimenti per dare supporto, insieme agli aerei A-10, costruiti per colpire le truppe di terra. Il Pentagono, insomma, vuole accelerare la caccia prima che i guerriglieri riescano a scappare in Pakistan, dove si stanno ricostruendo altri capisaldi, mentre alcuni terroristi sono tornati nei vecchi campi bombardati e reclutano i civili. Il presidente Bush ha detto: «Ci spezza il cuore la perdita di vite umane, ma stiamo difendendo la libertà e siamo determinati a vincere». L'Onu nel frattempo sta discutendo il raddoppio della forza internazionale di pace, per schierarla in altre città dopo Kabul, e garantire più stabilità al governo di Karzai. La situazione però resta incerta anche nella capitale dove, secondo fonti d'intelligence, le cellule sopravvissute di al Qaeda stanno pianificando attacchi con autobombe contro interessi occidentali, come le stesse basi della forza di pace in cui sono impegnati anche i soldati italiani. Sul piano interno, del resto, il ministro della Giustizia Ashcroft ha avvertito gli americani che lo stato di allerta contro nuovi attentati potrebbe durare per tutta la loro vita. «Ogni giorno che passa senza attacchi - ha spiegato al giornale Usa Today - è solo un giorno in più guadagnato». Ashcroft ha detto che per ora non esistono prove sicure sul possesso di armi nucleari da parte di al Qaeda, ma ha confermato di aver schierato nuovi sensori per materiali radioattivi a Washington e lungo i confini nazionali, perché nessuna minaccia può essere esclusa.

Paolo Mastrolilli
La Stampa 07.03.2002