Gino Strada: «Accoglieremo i feriti nel nostro ospedale»

E' perplesso Gino Strada quando gli si chiede qual è la situazione in Afghanistan dal punto di vista umanitario. E' appena uscito da una riunione al ministero della Sanità e al viceministro, dottor Teruz, ha messo a disposizione la sua organizzazione, Emergency, per aiutare le vittime del terremoto. «Abbiamo un ospedale nella valle del Panshir. Abbastanza vicino (per i criteri di distanza che ci sono qui) all’epicentro del sisma e alla città di Nahrin: 6-7 ore di macchina. Si possono evacuare i feriti e, per i più gravi, si potrebbe utilizzare la pista dell’eliporto che è proprio nel recinto della struttura». Ma più che per il terremoto, di cui comunque non minimizza la gravità, il medico milanese, da anni impegnato in zone «difficili» del pianeta, sembra preoccupato per come stanno andando le cose dal punto di vista degli aiuti che sono arrivati o stanno arrivando in Afghanistan dopo la caduta del regime dei talebani. Si accavallano, non sono coordinati e talvolta addirittura inutili. «C'è ancora chi si affanna a presentare le cose come se ormai il Paese fosse fuori dall'emergenza - spiega Gino Strada -. Cosa che non è vera perché qui c'è ancora guerra, dappertutto. Nessuno lo vuol ammettere e dire chiaramente». E così a Kabul arrivano organizzazioni d'aiuto con progetti azzardati (o quantomeno prematuri) che pretendono di sviluppare o migliorare strutture ancora inesistenti.
Invece, secondo Strada, l’ospedale di Emergency a Kabul è sempre pieno di feriti d’arma da fuoco. Anche ieri ne è arrivato uno da Gardez. Non è stato un colpo accidentale. «Lì - taglia corto - c'è stata una vera e propria battaglia. La guerra è lontana dalla capitale ma, d'altro canto, a Kabul non c'è mai stata, neanche dopo il 7 ottobre, quando cominciarono i bombardamenti americani sull'Afghanistan». La situazione lontano dalle grandi città non è tranquilla per niente, da qui l'idea di creare nuovi centri sanitari anche nelle regioni più remote: «E' lì che si deve intervenire, dove non ci sono volontari, dove non ci sono giornalisti, dove nessuno si cura di quel che accade».
Certo, in Afghanistan sono arrivate decine di Organizzazioni non governative, ma molte si sono piazzate a Kabul. Così sulla città si è riversato un fiume di dollari. «C'è gente che si sta arricchendo enormemente. Abbiamo appena lasciato una casa che pagavamo 350 euro al mese. Ce ne avevano chiesti 3500. Abbiamo rifiutato, ma il proprietario ha subito trovato nuovi inquilini. Anche il costo del noleggio delle automobili è salito all'inverosimile. L'arrivo dei dollari ha scardinato il mercato e portato a un incremento della criminalità».
L’ospedale che Emergency ha aperto in Panshir è attivo da anni. Strada non l’ha mai chiuso, neanche dopo la caduta dei talebani. Altre organizzazioni, invece, dopo il crollo del regime islamico hanno trasferito la propria attività nella capitale: «La popolazione rurale non va abbandonata - insiste Gino Strada -. Con noi c'è un'ex preside di liceo che era scappata da Kabul con l'arrivo degli studenti islamici oltranzisti. E' responsabile di un progetto per aiutare 400 donne che hanno perso il marito in guerra. Le abbiamo chiesto se ora volesse tornare a Kabul. "Non ci penso neanche", ha risposto. "Lì manderò i miei otto figli. Io resto qui accanto alle vedove". Un bell’esempio di altruismo che molti occidentali, purtroppo, non hanno seguito».
Ma l’emergenza non è solo sanitaria. In Afghanistan manca tutto e così anche Emergency si è in qualche modo riciclata organizzando, cioè, oltre alle tradizionali strutture mediche e sanitarie, anche progetti di aiuto sociale. «Abbiamo inviato due persone a Kandahar e a Herat per verificare se c’è la possibilità di realizzare qualcosa per aiutare quella povera gente alla quale pochi, proprio pochi, pensano».


Massimo A. Alberizzi
Corriere della Sera 27.02.2002